Coro, pathos e origine della tragedia greca in Friedrich Nietzsche

La ricerca sulle origini della tragedia greca risulta nell’opera tra le problematiche filosofiche più complesse e travagliate, poiché secondo la constatazione di Nietzsche questa tematica non era mai stata affrontata seriamente e tanto meno risolta. “L’amante di enigmi”, come egli stesso si definisce nel Tentativo di autocritica, sottolinea la difficoltà dell’impresa, paragonando il tema dell’origine della tragedia ad un labirinto: «dobbiamo ora chiamare in aiuto tutti i principi artistici fin qui discussi per raccapezzarci nel labirinto, dato che si deve designare con questo nome l’origine della tragedia greca»[1]. Questa metafora molto eloquente ci suggerisce, inoltre, che qualsiasi pretesa di definizione esaustiva sull’origine della tragedia è destinata a rimanere vana.

Nella conferenza Il dramma musicale greco,[2] tenuta a Basilea nel 1870, si sostiene, conformemente alla tradizione antica, che in origine la tragedia «non era altro se non un grande canto del coro».[3] Nella Nascita della tragedia Nietzsche riprende questa conoscenza, giustificando l’obbligo di indagare il coro tragico, come vero e proprio dramma originario.

Pilastro fondamentale della tradizione antica è un passo della Poetica di  Aristotele, secondo cui la tragedia nacque dagli exarchontes del ditirambo, ovvero coloro che iniziano, che danno il tono. Il coro tragico era composto da persone mascherate da Satiri, divinità della mitologia greca, simboleggianti lo spirito della natura. I Satiri erano creature deformi, per metà uomini con le grandi orecchie a punta e per metà capri.

Non a caso etimologicamente la parola “tragedia” viene dal greco tragon oidè che tradotto suona come “canto dei capri”. Dal coro degli exarchontes si staccava, successivamente il corifeo, ovvero l’exarchon, che costituiva così una nuova entità. La tragedia greca era però una forma di spettacolo, poiché la narrazione del coro e del corifeo era intramezzata da danze e da musiche.

La chiave d’accesso al problema dell’origine della tragedia sta, secondo Nietzsche, nel coro dei Satiri, poiché inizialmente la tragedia era appunto «coro e nient’altro che coro».[4] Per questo motivo il filosofo inizia con il ricapitolare e commentare alcune tra le più rilevanti interpretazioni sul coro.

La congettura politica vede nel coro il popolo ateniese, quasi come una sorta di tribunale etico verso l’azione del dramma. Il coro sarebbe, dunque, l’identificazione della legge morale dei democratici ateniesi, giudicanti gli eccessi e le trasgressioni dei re. Questa interpretazione del coro è, secondo Nietzsche, assolutamente priva di attinenza con la formazione originaria della tragedia, anche perché le costituzioni statali antiche non conoscevano alcuna rappresentanza costituzionale del popolo.

Scartata la congettura politica, Nietzsche cita ed esamina l’idea di Schlegel, secondo cui il coro dovrebbe essere considerato come lo “spettatore ideale”, simbolo del compendio e dell’estratto della folla degli spettatori.

Nonostante Nietzsche approvi l’originalità di Schlegel, considera però tale affermazione sul coro rozza e non scientifica. In questa formula è stravolto il problema del rapporto attore-spettatore nella sua dimensione estetica tradizionale: «avevamo sempre creduto infatti che il vero spettatore, chiunque fosse, dovesse rimanere sempre consapevole di avere davanti a sé un’opera d’arte, non una realtà empirica, mentre il coro tragico dei Greci è costretto a riconoscere nelle figure della scena esistenze concrete».[5] Nella concezione estetica tradizionale, quindi l’identificazione totale tra il pubblico e il coro tragico di fatto non può avvenire, poiché il vero spettatore deve immedesimarsi nell’attore sempre entro certi limiti. È alquanto necessario un certo grado di consapevolezza nella visione dell’opera d’arte, tale che permetta il riconoscimento dell’opera come entità altra –da- sé. Il mantenimento di una certa distanza garantisce allo spettatore la visione dell’opera come immagini e non come realtà propriamente empirica.

        A questo punto Nietzsche ci ricorda che, invece, il coro tragico dei greci vede nei personaggi della scena esistenze concrete, reali. Esso esiste dunque in una dimensione partecipativa totale, in una totale immersione.

Se lo spettatore  ideale di Schlegel deve partecipare senza alcuna distanza, considerando i personaggi della scena come corposamente empirici, allora sarebbe sconvolta la dimensione estetica dell’opera d’arte. La mancanza del giusto equilibrio fra distanza e partecipazione distrugge l’essenza dell’arte come fenomeno estetico, poiché il totale coinvolgimento, conducendo alla totale immersione, comporta il passaggio ad una dimensione etica. Ed è per questo motivo che Nietzsche considera tale visione del rapporto attore-spettatore come una storpiatura rozza del problema di fondo.

Nella formula di Schlegel, Nietzsche ricava, inoltre, un notevole controsenso. Se, infatti, in principio la tragedia era soltanto coro, non c’è possibilità che questo coro sia lo spettatore ideale. Il problema è: quale senso ad uno spettatore senza spettacolo?  Il concetto di “spettatore in sé”,

secondo Nietzsche, non è dunque collocabile, in nessuna via interpretativa per l’origine della tragedia.

L’unico che si è avvicinato alla seria indagine filosofica che richiede l’argomento in questione, è, secondo Nietzsche, Schiller nella prefazione alla Sposa di Messina. In questo passo il coro è considerato come un “muro vivente” che la tragedia pone attorno a sé per isolarsi dal mondo reale. Il coro è dunque un ente ideale, che si muove su un terreno collocato molto al di sopra rispetto a quello dei mortali.

Il finto stato di natura della scena tragica è accompagnato da finti esseri naturali, costituendo, così, una dimensione autonoma rispetto alla realtà empirica degli uomini. Nietzsche sostiene, infatti, che non c’è copiatura naturalistica nella tragedia, anzi, è proprio il coro che conduce per primo la guerra ad ogni forma di naturalismo in arte. La tragedia greca non riproduce nessuna realtà altra-da-sé, non essendo, infatti, copia del mondo reale. Nonostante ciò non produce neanche un puro mondo di fantasia, poiché il mondo presentato nella tragedia greca è quello di una realtà religiosamente riconosciuta, garantita dalla mitologia e dai culti.

Il problema fondamentale dell’origine della tragedia sta, allora, nel decifrare l’essenza del coro tragico.

Innanzitutto, spiega Nietzsche, il coro tragico non ha alcuna implicazione con l’azione, in quanto i Satiri narrano l’azione. Il coro racconta. I Satiri, esseri «sublimi e divini»[6], richiedono dunque una dimensione, patetica, collegata al “sentire”, poiché in principio tutti pertecipano al coro e dalla tragedia non traspare altro che pathos.

E’ proprio questa dimensione che permette all’uomo civile greco di sentirsi «annullato al cospetto del coro dei Satiri».[7] Il potere del coro consiste, infatti, nel condurre gli uomini verso un sentimento di unità e di fusione di ciascuno con tutti, e questo potere è di natura divina.

Nelle lezioni dal titolo Sulla storia della tragedia greca[8] tenute a Basilea nel 1870, Nietzsche scrive che la tragedia antica deriva dalla musica. La lirica da cui si sviluppa la tragedia greca è però quella dionisiaca, ovvero quella musicale in senso puro. Il ditirambo dionisiaco veniva recitato con un accompagnamento strumentale, mediante cui veniva esaltato tutto ciò che è istintivo e irrazionale come simbolo dell’impulso primaverile.

I Satiri si trovavano, infatti, in una condizione estatica, in cui i limiti e le barriere dell’esistenza vengono annientati da un elemento letargico, che sfuma i contorni di ciò che è stato vissuto personalmente nel passato.

È questo oblio che separa la realtà quotidiana da quella dionisiaca.

Se, inizialmente, la tragedia greca era soltanto coro e non dramma, ciò mostra, secondo Nietzsche, come il coro simboleggi l’uno originario, nonché il problema dell’origine stessa. Il fatto che nel coro tutti partecipino significa che il pathos può essere solo partecipato, vissuto. Dal coro è esclusa, quindi, qualsiasi forma di comprensione logica, poiché esso può essere solo vissuto.

Successivamente il coro espelle da sé il corifeo e la tragedia si trasforma in uno scambio dialogico fra questi due elementi. Ed è proprio “due” la parola chiave, poiché il passaggio dall’uno al due non può essere spiegato razionalmente. Assistiamo ad uno strappo mediante il quale ognuna delle due unità acquista autonomia e nello stesso tempo dipendenza. Nel poter “dire” il coro, bisognerebbe, infatti, stare già al di fuori del coro. Il “labirinto” di Nietzsche rappresenta, quindi, proprio questa dimensione partecipativa, che coinvolge, che immerge, dimensione dalla quale è appunto escluso qualsiasi elemento razionale. L’origine è perciò unitaria, e originaria è solo la partecipazione.


[1]Ivi, p.50.

[2] F.Nietzsche, Dramma musicale greco, in: La filosofia nell’epoca tragica dei greci e scritti 1870-1873, tr.it. di G.Colli, Adelphi, Milano, 1991.

[3] Ivi, p.16.

[4] F.Nietzsche, La nascita della tragedia, tr.it. di  Giametta, Adelphi, Milano, 2000, p.50.

[5] F.Nietzsche, La nascita della tragedia,  tr.it. di Giametta, Adelphi, Milano,2000, p.51.

[6] F.Nietzsche, La nascita della tragedia, tr.it. di Giametta, Adelphi, Milano, 2000, p.57.

[7] Ivi, p.54.

[8] F.Nietzsche, La tragedia antica e moderna e il problema delle origini in: Sulla storia della tragedia greca, tr.it. Ugolini, Cronopio, Napoli, 1994, p.30.


9 risposte a "Coro, pathos e origine della tragedia greca in Friedrich Nietzsche"

  1. … ma questo è un saggio.
    Complimenti.
    E’ un lavoro molto ben fatto, approfondito, pregevole, scientifico ma piacevole.
    Sarei stato onorato a pubblicarlo sul mio brogliaccio.

  2. è il paragrafo due della mia prima tesi di laurea in Estetica.

    Visto che siamo in periodo di maturità spero possa essere d’aiuto a qualcuno per qualche tesina o approfondimento.

    Grazie per i complimenti! 🙂

  3. Valentina mi piacerebbe avere lucidazioni sui i punti più importanti sulla tardiva prefazione”TENTATIVO DI AUTOCRITICA”.
    grazie

  4. Valentina mi piacerebbe che tu mi spiegassi i punti più importanti della tardiva prefazione”TENTATIVO DI AUTOCRITICA”.
    grazie e complimenti.

  5. Sto scrivendo una tesina sperimentale sul coro e la sua evoluzione nell’ 800 e la lettura de “la nascita della tragedia” mi è risultata veramente ostica. Questo tuo approfondimento è eccezionale ! Mi sei stata di enorme aiuto. Complimenti !

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